Estratto da “Krínomai. Rivista italiana di storia e critica delle Arti”, n. 1 (Milano, 2025), pp. 97-128
«Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di tria / quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia». Inizialmente immagina così Fabrizio De André questi versi della canzone La città vecchia2, scritta insieme a Elvio Monti, per dipingere musicalmente i contorni di una prostituta, dai perbenisti ipocritamente disprezzata alla luce del sole, ma cercata e prezzolata dagli stessi nel cuore della notte. La censura gli impone di modificare questa parte del testo, che diventa – come ormai si è abituati a sentirla risuonare nelle orecchie – «quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie / quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie». Verrebbe da chiedersi: cosa cambia di fatto? Cambia la sostanza? Assolutamente no – pare abbastanza chiaro. Cambia la forma? Sì, senza dubbio. Viene meno, innanzitutto, un termine giudicato fin troppo volgare, tuttavia oggi contemplato all’interno di autorevoli dizionari della lingua italiana3 e, contestualmente, nel rispetto della nuova rima, che non è più “tria-voglia”, bensì “moglie-voglie”, s’attenua anche la carica emozionale ed erotica.
Eppure l’immagine, censurata o no, arriva sempre nello stesso identico modo, vale a dire quella di una donna che, in cambio di denaro, concede il proprio corpo ad un uomo desideroso di soddisfare le proprie voglie sessuali.
Il perbenismo, che non perde tempo a innescare il meccanismo della censura, pare acquietare così la propria coscienza, per potersi guardare allo specchio forse con l’illusione di aver fatto cosa gradita a chi potrebbe sentirsi urtato da un termine ritenuto fin troppo volgare. Si tratta di un meccanismo che, dalla prospettiva dell’oggi, pare appartenere da sempre alla forma mentis del genere umano. Pare. Censurare, quantomeno agli occhi del mondo, perché il perbenismo lo richiede ed evidentemente perché il mondo ne è in qualche modo soggiogato.
Chi insegna Letteratura latina negli indirizzi liceali sa bene che, a cavallo tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C., in piena età augustea, un tal Publio Ovidio Nasone, il noto autore dei Metamorphosĕon libri XV (Le metamorfosi), in un’opera dal titolo Ars amatoria (L’arte di amare), «si fa praeceptor amoris» (“precettore d’amore”)4, dando vita a un vero e proprio manuale in cui fornisce dei suggerimenti sia all’uomo sui comportamenti da assumere e su quelli da evitare per conquistare una donna e, soprattutto, per far sì che, a conquista avvenuta, la passione non venga meno, sia alla donna su come combattere ad armi pari con gli uomini.
Tuttavia vien difficile pensare a un docente di Letteratura latina intento a costruire in classe e con essa il commento di alcuni passi di quest’opera in cui
Ovidio procede con disinvolta galanteria e talvolta con arguta
maliziosità, assumendo l’atteggiamento di chi ha tutto da insegnare
in questa materia così allettante e cara a chi ama5.
Occorre aggiungere che
la figura del perfetto amante delineata da Ovidio si caratterizza ovviamente per i suoi tratti di disinvolta spregiudicatezza, di insofferenza e impertinente aggressività nei confronti della morale tradizionale, dell’antico costume quiritario (soprattutto in una sfera molto delicata come quella dell’etica sessuale e matrimoniale, cui l’impegno restauratore di Augusto annetteva particolare importanza: e lo scandalo dell’Ars poteva perciò essere addotto come atto d’accusa ufficiale al momento della cacciata del poeta da Roma)6.
Infatti
nell’8 d.C. egli fu condannato da Augusto alla relegazione nella lontana Tomi (odierna Costanza, sul Mar Nero). Non conosciamo con esattezza la causa della condanna: Ovidio vi accenna più volte nelle opere scritte a Tomi, ma sempre in termini vaghi e con allusioni volutamente oscure, affermando in un passo di essere stato rovinato da duo crimina, carmen et error (“due colpe: una poesia e un errore”: Tristia, II, v. 207).
[…] Il carmen è sicuramente l’Ars amatoria, in cui il poeta di fatto era, secondo l’accusa, obsceni doctor adulterii (“maestro di osceno adulterio”: Tristia, II, v. 212)7.
Portino insieme l’uomo e la sua donna pari concorso al gaudio dell’amplesso8.
[…] Il gemito d’amore deve nascer da sé, dalla sua bocca: voglio ch’ella mi dica d’andar presto o di fare più piano. Oh, ch’io la veda, smarriti gli occhi e tutta delirante, ch’io l’oda dire nel languore estremo: “O, basta, basta, non toccarmi più!”9 .
[…] Non conviene, credimi, accelerare il gaudio estremo, ma lentamente devi ritardarlo con raffinato indugio. E quando il luogo tu scoprirai su cui goda carezze più che altrove da te, vano pudore non freni le tue magiche carezze. Vedrai gli occhi di lei farsi lucenti di tremulo fulgore, come il sole spesso rifulge sulla liquid’acqua. E subito verranno i suoi lamenti, il delizioso mormorare, il gemito dolce così a udirsi, e le parole più adatte al vostro gioco. Ma tu cura di non volare a troppo gonfie vele e abbandonarla, e terminar la corsa prima di lei. Correte fianco a fianco fino alla meta. Il godimento è pieno quando, vinti ad un tempo, e tu e lei, soccomberete insieme10.
Avrebbe potuto nei licei di qualche decennio fa e potrebbe oggi un docente di Letteratura latina declamare questi versi con naturalezza senza venir additato da alcuni colleghi e da alcune famiglie di essere un insegnante poco serio, poco professionale, per questa ragione poco o per nulla adatto a ricoprire il ruolo cui è preposto nella scuola?
Ancora: avrebbe potuto nei licei di qualche decennio fa e potrebbe oggi un docente di Letteratura latina declamare e/o intonare e poi commentare, in parte o per intero, il testo della canzone Donne credetemi11 di Giorgio Gaber, evidentemente ispirato all’Ars amatoria di Ovidio («ma ricordatevi di dire sempre / che è stato Ovidio il vostro maestro» – canta Gaber)?
Tu che hai gambe così agili e belle / devi cercare di metterle in vista / e sulle spalle del tuo compagno / devi appoggiarle vicino alla testa. […] Dovrai cercare che sia per entrambi / contemporanea la conclusione / e sussurrando parole d’amore / sarà più dolce la situazione.
Probabilmente il docente che decidesse di farlo verrebbe tacciato, come Ovidio, di carmen et error e, magari, per lui sarebbe auspicabile da parte di alcuni colleghi e di alcune famiglie finanche il licenziamento in tronco. Eppure si tratta di descrivere semplicemente l’amplesso e la sincronia dell’ἀκμή (“acmé”, vale a dire “il culmine”, “il momento di massima intensità”) del piacere. Un piacere che l’uomo ricerca – è risaputo – fin dalla notte dei tempi.
Andando ancora più a ritroso, nel mondo della Letteratura greca, il pensiero raggiunge il lirico corale Stesicoro, vissuto presumibilmente tra il VII e il VI sec. a.C., il quale, nell’opera Παλινῳδία (“Palinodia”, che sta per “nuovo canto”, “ritrattazione”),
nel narrare la vicenda troiana, […] aveva descritto il personaggio di Elena seguendo gli schemi più noti e presentandola come una donna ambiziosa, vana e immorale; in questo modo, però, secondo la leggenda, egli si sarebbe attirato l’odio di Elena, che era stata divinizzata dopo la morte ed era divenuta una figura di primo piano nei culti di Sparta e delle colonie doriche della Magna Grecia. Per vendicarsi, essa lanciò una maledizione contro il poeta e lo rese cieco. Stesicoro, allora, si affrettò a ritrattare tutto quanto aveva scritto, ed affermò che Elena non aveva mai abbandonato la reggia di Sparta e non aveva mai seguito Paride a Troia; in realtà, il figlio di Priamo aveva portato con sé solo un εἴδωλον, un “fantasma” della bellissima donna, perché questa era stata la volontà degli dei, desiderosi di scatenare la guerra. In questo modo Stesicoro riacquistò la vista e riabilitò la figlia di Zeus, ingiustamente calunniata12.
Sarebbe quantomeno doveroso chiedersi se trattasi solo di un’apposita scelta letteraria, quella della palinodia, o, se dietro ad essa, abbiano agito pressioni di censura, ravvisabili o meno, tali da indurre Stesicoro a “ritrattare”.
Del resto, come si potrebbero conciliare la divinizzazione di una donna bellissima quale Elena con l’immagine di lei dai noti contorni libertini e adulterini al punto da abbandonare il marito Menelao e
seguire Paride a Troia?
Non va dimenticato neppure che Greci e Troiani combattono una guerra, nella versione dei poemi pseudo-omerici, a seguito delle responsabilità imputabili di fatto a una donna, ad Elena appunto, al di
là della ritrattazione che ne fa Stesicoro. I Greci si scontrano, per dieci lunghi anni, contro i Troiani per il fatto che costoro “hanno rapito” Elena, senza considerare che è ella stessa volontariamente a decidere di abbandonare Menelao, Sparta, la Grecia intera per seguire il giovane aitante troiano per cui ha perso la testa! Troppo immorale forse finanche per una civiltà dalle larghe vedute qual è quella greca?
Nel romanzo La Natura Esposta, Erri De Luca racconta la storia di un artigiano chiamato a rimuovere da un Cristo in croce un panneggio di marmo che copre il sesso di quest’ultimo, la sua “natura” appunto13.
«La Natura Esposta è la storia di un artigiano e del suo particolarissimo viaggio, non verso terre lontane e paesi sconosciuti, ma nell’abisso della fede, dell’arte e della profonda intimità dell’umanità»14, nella quale Erri De Luca, in riferimento alla “natura” del Cristo in croce morente, scrive che «le sue mani non la possono coprire, le gambe non possono accoglierla all’interno. Lo strazio della posizione crocifissa culmina in quella parte denudata»15.
E, all’artigiano, identificatosi con lo scultore, a sua volta immedesimatosi in Cristo morente, ha già fatto dire:
Batto di scalpello tutto intorno e i colpi mi rintronano nel corpo, come se scalpellassi il mio bacino. È solidarietà maschile, mi dicoper proseguire. Riprendo e l’effetto continua. Me lo devo tenere.
Colpisco e risento il rimbalzo. Scalpello intorno per indebolire il granito. Si è staccata così la donna che mi è stata compagna, con un colpo netto alla fine. Le mie viscere continuano a rispondere ai colpi. Una martellata penultima avvisa del cedimento del blocco.
Colpisco piano e il pezzo intero si stacca, lo fermo sulle braccia per non farlo cadere. Lo poggio in terra. Si è tolto portandosi dietro quasi tutta la natura coperta. Guardo la forma data dallo scultore alla morte in quel punto. Una vena in rilievo corre fino in cima alla natura bianca. È circoncisa. Mi tolgo il maglione di lana e ci avvolgo dentro il blocco staccato. Lo porto al mio alloggio16.
Nel rimuovere quel panneggio, l’artigiano ha contezza non solo della circoncisione del condannato, ma anche del principio di erezione innescatasi meccanicamente al culmine degli spasimi, dunque in punto di morte.
Fa specie pensare a quanta sapienza sia sottesa a questo lavoro letterario di Erri De Luca, che ha immaginato un artigiano identificatosi con uno scultore, immedesimatosi a sua volta nel dolore atroce di Cristo in croce. Dolore concentrato proprio laddove è stato apposto un panneggio, in quanto “la natura esposta” non è per nulla cosa decorosa. La rimozione di quel panneggio non solo restituisce l’integrità del corpo del condannato, ma anche e soprattutto l’integrità del suo dolore. La rimozione di quel panneggio soltanto può far immergere pienamente nel dolore di Cristo in croce, in punto di morte.
Viene così inevitabilmente in mente il pittore e scultore Daniele Ricciarelli, noto come Daniele da Volterra, annoverato tra i pittori manieristi e allievo di Michelangelo, che, a seguito del Concilio di Trento (1545-1563), dunque in pieno clima controriformistico,
ebbe anche l’infame soprannome de “il Braghettone”, perché ebbe il compito di coprire le nudità delle figure michelangiolesche negli affreschi del Giudizio Universale della Cappella Sistina (fig. 1).
Il Vaticano aveva bandito la nudità dell’arte religiosa e ordinò a Volterra di censurare il capolavoro. Anche se le coperture furono eliminate nel 1565, il soprannome ha continuato ad accompagnare Volterra. […] Parte delle lodi riservate alle sue pitture appaiono nell’Enciclopedia Cattolica del 1913, dove si legge che “il suo lavoro si distingue per la bellezza del colore, la chiarezza, la composizione eccellente, il vigoroso realismo e l’opposizione, curiosamente strana, tra luce e ombra. […] Ingigantì le peculiarità di Michelangelo, si
avvicinò alle pericolose altezze del sublime, ma, non possedendo la serenità del maestro, è scivolato in basso”17.
Grazie alla copia del Giudizio Universale ad opera del pittore rinascimentale Marcello Venusti, ci è dato sapere che
nel caso di Santa Caterina d’Alessandria e di San Biagio, però, il Braghettone ha praticamente rifatto l’affresco di Michelangelo, ridisegnando le figure (fig. 2). Nel lavoro di Michelangelo, Santa Caterina era completamente nuda voltata di schiena e piegata in avanti, mentre San Biagio era appoggiato alle sue spalle in una posizione ancora più indecente. Non sarebbe bastato ricoprire vergognosamente i nudi con delle candide vesti: così se alla santa è stato fatto indossare un bel vestitino verde, lasciandole intatte la testa e le braccia, oltre alla ruota del martirio, San Biagio è stato completamente rifatto, per cacciare ogni cattivo pensiero, non più piegato quasi carnalmente su di lei, ma con lo sguardo rivolto molto devotamente in alto, verso il Cristo18.


Nel clima della Controriforma è noto anche che, nel corso di molte Visite pastorali, la censura ricade sulle Anime purganti ignude, poste sotto le pale della Madonna del Carmine.
Valga, a mo’ d’exemplum, la visita alla Chiesa di Santa Maria del suffragio delle Anime del Purgatorio di Gioia del Colle (Bari) effettuata nel 1695 dall’arcivescovo Carlo Loffredo, il quale – come riferisce lo
storico locale, professor Francesco Giannini –
stupito per la presenza di un dipinto molto esteso sull’altare, raffigurante la Madonna e le Anime purganti, impartisce la seguente disposizione: «Che le figure delle Anime purganti nude s’adombrino, e si coprino di fiamme nel petto, e nelle coscie per non apparir le mammelle, che più presto offendono gli occhi di chi li mira, che li portino devozione»19.
Sempre nel clima del Concilio Tridentino si colloca la censura ai seni scoperti delle Vergini galattofore, note altresì come Madonne del latte, nell’atto di allattare il Bambino Gesù, censura che – non è da escludere – potrebbe aver lasciato strascichi finanche nella cultura popolare dei secoli a venire.
Ad Alezio, un piccolo centro della provincia di Lecce, spicca un’edicola votiva, che per decenni ha custodito un affresco nascosto, tanto quanto ad oggi lo sono ancora le ragioni della sua doppia copertura. Il restauro dell’edicola votiva, commissionato nel 1994 dalla famiglia proprietaria del palazzo sulla cui facciata essa è ubicata20, infatti, ha permesso di riportare alla luce un affresco risalente alla seconda metà dell’Ottocento raffigurante la Madonna delle Grazie con il seno destro scoperto in procinto di allattare il Bambino Gesù rivolto verso l’osservatore (particolare su cui riflettere), in un ovale dallo sfondo blu cobalto e con la veduta di una città nella parte sottostante. Spiega il maestro restauratore Valerio Giorgino:
Solo la rimozione della lamiera zincata raffigurante la Madonna delle Grazie, presente nell’edicola votiva al momento della commissione del suo restauro e apposta nei primi anni del Novecento, ha consentito non solo la scoperta dell’affresco nascosto, tra l’altro ben conservatosi grazie a un possibile lavoro di ridipintura, ma anche di un’altra immagine dipinta a tempera sempre della Madonna delle Grazie, interposta tra la lamiera di copertura e l’affresco di cui sopra e risalente alla fine dell’Ottocento. Porto all’attenzione che la Madonna delle Grazie della lastra zincata rimossa ricalca le fattezze proprio della Madonna delle Grazie interposta. In quest’ultima, tra l’altro, il Bambino Gesù è rivolto verso la Madre, il cui seno non è visibile nella sua nudità, quindi non ci è dato sapere se la Madonna delle Grazie dipinta a tempera avesse o
meno il seno scoperto (fig. 3)21.

Considerato che ad oggi la motivazione delle due coperture dell’affresco (delle quali non si conoscono le datazioni precise) rimane avvolta nel mistero, viene naturale chiedersi se esse siano riconducibili semplicemente a un cambiamento di gusto da parte dei componenti della famiglia che si sono avvicendati nel palazzo oppure se vi sia stata una qualche pressione, magari – chissà – proveniente proprio da ambienti ecclesiastici o ad essi vicini o affini, finalizzata a nascondere quell’immagine, quel seno scoperto, come diretto residuo e retaggio di un clima di repressione e di censura iniziato col Concilio Tridentino e forse mai estintosi del tutto.
A scardinare il potere della censura da parte della Chiesa, ci pensa tuttavia proprio un santo, noto per essere invocato contro la peste, relativamente al quale Francesco Danieli, storico, iconologo e critico d’Arte, afferma che
forse non c’è soggetto in tutta la storia della pittura cristiana, eccezion fatta per la Vergine Maria, che abbia riscosso una fortuna iconografica pari a quella di san Sebastiano22
che è stato raffigurato
specie dagli artisti del Rinascimento e del Barocco, come un grazioso giovane legato ignudo a un tronco23,
specificando inoltre che
con l’Umanesimo e il Rinascimento la figura di San Sebastiano incarna la “rivoluzione copernicana” dell’arte cristiana in chiave spiccatamente antropologica. La virile rappresentazione delle sue giovanili fattezze, esposte senza veli al tiro degli arcieri, offrirà il pretesto più sfacciato alla canonizzazione del nudo d’autore e all’approfondimento degli studi anatomici, permettendo di eludere le rigide censure ecclesiastiche e spianando la strada al realismo barocco. Così pure, nel clima di ritorno alla classicità greca e romana proprio di quell’epoca, raffigurando il nostro martire gli artisti rinascimentali faranno risorgere i miti di Apollo e Adone, in un rivalutato orizzonte di paganesimo estetizzante non assopitosi mai del tutto24.
Danieli, tra l’altro, rimandando alla raffigurazione del santo in voga nel Rinascimento e nel Barocco, cioè quella di un grazioso giovane legato ignudo a un tronco, ci rivela che
un’altra situazione avrebbe reso celebre nella nostra epoca, suo malgrado, il martire Sebastiano: l’affermazione inesatta, ormai diffusa al di là della ristretta cerchia gay, per cui il santo milite sarebbe stato il “prediletto dell’imperatore” in una fantomatica relazione omosessuale con Diocleziano, la cui fondatezza storica è totalmente inesistente. Tutto ebbe inizio con Le Martyre de Saint Sébastien25, opera teatrale scritta in francese da Gabriele D’Annunzio (1863-1938) e musicata da Claude Debussy (1862-1918). Fu rappresentata per la prima volta a Parigi, nel 1911, dalla compagnia della ballerina statunitense Ida Rubinstein, che interpretò il ruolo del santo. Solo la mente stravagante di D’Annunzio poteva ideare una simile fantasia! Ne venne fuori la convinzione, tuttora in voga, di Sebastiano “santo gay”26.
Se la rappresentazione ignuda del santo ha contribuito a diffondere la convinzione del tutto infondata che Sebastiano fosse un santo gay, proviamo a immaginare cosa avrebbero pensato i più fervidi esponenti del cattolicesimo intransigente se fosse saltata fuori, invece, la fondatezza del dato!
A proposito di cattolicesimo intransigente, si ritiene interessante rendere noto che a Parabita (Lecce), dall’11 maggio 2024, da una costellazione di opere di diciassette artisti contemporanei italiani e internazionali ha preso vita Votiva, la prima collezione permanente d’arte pubblica, attraverso la riattivazione delle edicole votive del centro storico che, all’interno delle sue stradine e dei suoi vicoli,
disegnano un vero e proprio itinerario per tappe27.
Votiva attrae numerosi visitatori e viene recensita con parole di profondo apprezzamento da molte riviste d’arte italiane, ma anche da noti periodici legati al mondo della Chiesa, come il settimanale Famiglia Cristiana, che all’iniziativa riserva espressioni lusinghiere quali: «L’originale iniziativa», «Il borgo che rinasce attraverso l’arte»,
«Le caratteristiche edicole votive che adornano strade e abitazioni erano ormai abbandonate. Ma ora sono state recuperate e reinterpretate, trasformando il paese in un museo a cielo aperto»28, e da quotidiani come Avvenire, che esprime le seguenti esternazioni di approvazione: «Le edicole votive […] si trasformano in collezione permanente di arte pubblica. […] Nate come testimonianza della spiritualità popolare e divenute tratto distintivo del paesaggio architettonico del borgo, le numerose edicole votive di Parabita creano terreno fertile per la rigenerazione di un tessuto comunitario, trasformandosi in spazi per l’espressione artistica»29.
Nonostante questi riconoscimenti provenienti dal mondo della Chiesa, vi sono coloro che, in nome del cattolicesimo intransigente di cui sopra, dunque in nome di una tenace resistenza a qualsiasi cambiamento arricchita inevitabilmente da note di bigottismo, faticano ad accettare l’idea che un’edicola votiva possa ospitare un’opera in grado di oltrepassare il limes del (loro) concetto di “sacro” e che l’immagine “rivisitata” che essa offre si configuri come una sorta di profanazione, addirittura come una manifestazione vera e propria di furia iconoclasta.
Si portano all’attenzione del lettore le edicole votive contenenti le installazioni rispettivamente di Giovanni Lamorgese, L’Addolorata, e di Chiara Camoni, Annunciazione (la prima a sinistra e la seconda a destra nella fig. 4)30.

Esse – è bene chiarirlo – affondano le radici proprio in quell’idea di “sacro” tanto difesa dai tradizionalisti, ma che pare destabilizzino “a tutti i costi” e smisuratamente questi ultimi. Senza contare DioCubo di Francesco Arena, Dell’arte…l’oro di Gianni Dessì, Figura de nudo di ektor garcìa, Il piede del santo di Felice Levini, Senza titolo di Mimmo Paladino, Miracolo senza titolo di Luigi Presicce, che contengono moltissimi elementi di quel “sacro” tradizionale, nonché Il canto della pace preventiva di Michelangelo Pistoletto, che rimanda a temi di scottante attualità e urgenza, quale quello della Pace, appunto31.
In ogni caso e a dirla tutta, la parola “sacro” non ha forse un legame diretto con sacellum che vuol dire “piccolo recinto”, diminutivo proprio della parola latina sacrum? Alla luce di questo, non è forse lecito pensare che Votiva appartenga proprio alla sfera del “sacro”, considerato che di fatto ha ripreso edicole votive ormai dismesse (alcune ex novo per l’occasione), prendendosi cura di esse, dunque proteggendole e investendole anche del delicato compito di proteggere a loro volta opere di artisti che hanno fatto dono permanente della loro arte?
Vi sono forse dubbi che tutto ciò possa non appartenere a pieno titolo alla sfera del “sacro”?
Perbenismi e censure hanno tagliato appositamente diverse opere d’arte per farne “lecite” copertine di libri. Si pensi, ad esempio, alle copertine sia delle prime edizioni del romanzo Un amore di Dino Buzzati32 sia di quelle più recenti33. In entrambi i casi esse contengono immagini di opere buzzatiane volutamente “ridotte”. Nel primo caso, l’immagine per intero raffigura una donna, Laide, la protagonista femminile del romanzo, a seno nudo davanti alla giacca del protagonista maschile di quest’ultimo, Antonio Dorigo, che nutre per lei un amore ossessivo, quasi invalidante per l’anima34, nel secondo caso, invece, viene omessa l’immagine di una donna completamente nuda, con addosso solo un paio di autoreggenti, incatenata e contorta all’indietro su se stessa, quasi fosse una rappresentazione della medesima Laide allo specchio e nelle compulsive fantasie erotiche di Antonio Dorigo35.
Provando a scomodare provocatoriamente anche un po’ di pagine di Storia, occorre riflettere sul fatto che non esiste città o paese che non abbia una strada o una piazza intitolata alla memoria di Umberto I, secondo re d’Italia e, parimenti, che non esiste città o paese che abbia una strada o una piazza intitolata alla memoria di Gaetano Bresci, “l’anarchico venuto dall’America”36, che uccise Umberto I per vendicare i morti di Milano del maggio 1898, sterminati a cannonate dal generale Fiorenzo Bava Beccaris per ordine proprio del re, il quale ebbe l’ardire finanche di riempire di onorificenze di Casa Savoia lo stesso generale a seguito di quegli eventi.
Fermo restando che il ricorso alla violenza, compresa dunque la più efferata, quella cioè in grado di togliere la vita a qualcuno, è sempre condannabile senza remora alcuna, la domanda irriverente sorge spontanea: perché onorare chi ha esultato e goduto della morte di povera gente disarmata che aveva fame e che protestava per chiedere il ribasso della tassa sul grano e, a questo punto, non riservare lo stesso trattamento a Gaetano Bresci che, tra l’altro, asserì sempre di aver ucciso non il re, ma un principio? E poi ancora: la vita di un re è forse più importante di quella di un uomo, di un anarchico, tra l’altro morto in circostanze sospette (in carcere, impiccato ad un asciugamano)? La violenza commissionata da Umberto I, di cui Bava Beccaris è stato l’esecutore materiale, ha forse una portata minore di quella perpetrata da Bresci? Come mai il perbenismo non alza la voce, non s’indigna, non chiede, dunque, la rimozione da ogni città e da ogni paese, dell’intitolazione di strade e piazze al sanguinario (tuttavia senza essersi mai sporcate le mani) re Umberto I?
L’enumerazione di tutto ciò che, in nome della censura imposta dal perbenismo dilagante, è stato riscritto, come i versi de La città vecchia di Fabrizio De André, condannato, come l’Ars amatoria di Publio Ovidio Nasone, ritrattato, come – forse – la Παλινῳδία (“Palinodia”) di Stesicoro, nascosto, come il sesso del Cristo in croce ne La natura esposta di Erri De Luca, coperto, come le nudità delle figure michelangiolesche del Giudizio Universale o come quelle delle Anime purganti poste sotto le pale della Madonna del Carmine o ancora come il seno scoperto delle Vergini galattofore, travisato, come accade per San Sebastiano, il cui corpo ignudo lo rende con convinzione un “santo gay”, tacciato di profanazione e addirittura di furia iconoclasta, come l’arte contemporanea nelle edicole votive, tagliato come alcune opere di Dino Buzzati divenute copertine dei suoi stessi libri, tra cui il romanzo Un amore, trattato non equamente, come accade per le pagine di Storia del regicidio del 29 luglio del 1900,
l’enumerazione – si diceva – potrebbe continuare all’infinito, attenzionando il mondo della Storia, della Poesia, della Letteratura, della Musica e dell’Arte in tutte le sue molteplici e innumerevoli forme e manifestazioni.
Nei licei artistici, luoghi votati per eccellenza all’Arte, gli studenti – a quanto pare – usufruiscono sempre meno della possibilità di vivere l’esperienza del disegno dal vero, in particolare del disegno del nudo, forse perché, in questo modo, il non porre davanti ai loro occhi un uomo o una donna svestiti (nelle scuole superiori mai del tutto, tuttavia) per farne resa artistica rende quei percorsi scolastici “redenti” da qualcosa di troppo sconcio che li ha “pervasi” in passato, se, immergendoci nell’ottica perbenista, pensiamo anche alla fascia d’età che ne costituisce l’utenza?
Vengono penalizzate così le arti figurative, soprattutto le Discipline pittoriche, ma anche quelle Plastiche e Scultoree, parimenti per indirizzi quali Grafica o Audiovisivo e Multimediale pare quasi impossibile poter pensare che gli studenti realizzino locandine o scattino fotografie e facciano riprese video che riportino certe nudità.
Eppure, chissà, magari qualche studente sarebbe in grado di non essere da meno di Helmut Newton (fig. 537, fig. 638 e fig. 739),



uno dei pochi fotografi contemporanei capaci di polarizzare l’attenzione del mondo dell’arte, diviso fra la cerchia dei fan che ammirano le sue fotografie e gli oppositori accaniti che vogliono sminuirlo, bollandolo come fenomeno di moda o accusandolo di misoginia. In realtà Newton ha creato un nuovo stile della fotografia di moda, di cosmetici e di nudo, che sicuramente ha un successo tanto grande perché rivela una sensibilità profonda per i segni del tempo. La fusione fra l’autorappresentazione offensiva e la sottomissione volontaria da un lato e, dall’altro, la predilezione per le donne alte, dall’ossatura sfaccettata, ben autodeterminate, coglie nel vivo il dilemma in cui si imbattono ancora le donne e il movimento femminista: influire sulla società con il proprio ruolo e tuttavia non rinunciare all’identità tradizionale di donna; oppure vivere il difficile e doloroso processo di ricerca di una nuova identità. Le donne mascoline, l’inclinazione all’androgino costituiscono una risposta all’identità non ancora trovata nel nuovo ruolo femminile. Le fotografie di Newton mostrano le sfaccettature più disparate dei tipi di donna che si sono sviluppati in questa situazione. Poiché non lo fa con spirito critico, ma con voluttà, Newton si è attirato le critiche pungenti del movimento femminista40.
Ed ancora, chissà, magari qualche studente eguaglierebbe Robert Mapplethorpe, il fotografo che
suscita scalpore soprattutto per i suoi nudi in cui, spesso con una durezza addirittura arrogante e brutale, tematizza erotismo e omosessualità. La libertà con la quale affronta il sesso maschile in particolare e il fatto che, nello stesso tempo, egli non si preoccupa di nascondere le proprie inclinazioni omosessuali, ha portato addirittura al sequestro delle sue fotografie in occasione di una mostra (fig. 8)41.

Perché togliere dunque agli studenti la possibilità di poter raggiungere i livelli artistici – per fare ancora qualche altro nome preso in prestito dal mondo della fotografia – di Toto Frima42, di Fritz Henle43, di Man Ray44, di Bettina Rheims45 o – per citare qualche nota opera pittorica e scultorea – de L’Origine du monde (“L’Origine del mondo”) di Gustave Courbet (fig. 9) o di Gala desnuda de espaldas mirando un espejo invisible (“Gala nuda di spalle guardando uno specchio invisibile”) di Salvador Dalí. O ancora di Tu si’ ‘na cosa grande (“Tu sei una cosa grande”), installazione di Gaetano Pesce (fig. 10) che tanto ha fatto discutere di recente per il suo richiamo a una gigantesca forma fallica. Come pure, di Dal latte materno veniamo di Vera Tiberto Omodeo Salé? Quest’ultima è una scultura che attinge a una vicenda intima della scultrice e di cui, tra l’altro, si è piuttosto recentemente sentito parlare, in quanto rifiutata dalla
commissione che a Palazzo Marino si occupa di vagliare le proposte di collocazione di manufatti artistici negli spazi pubblici di Milano. Commissione che ha deciso di respingere l’idea – avanzata dagli eredi di Omodeo a seguito della donazione alla città – di installare la scultura “incriminata” in piazza Eleonora Duse, in quanto portatrice di “valori non condivisi”. Nello specifico, la motivazione del rifiuto risiederebbe nel fatto che l’opera affronta “il tema della maternità con sfumature squisitamente religiose”46.
Infine, perché privare gli studenti della possibilità di divenire un giorno sceneggiatori e/o registi di film dello stesso calibro di quelli che nel nostro Paese hanno subìto la censura, (tuttavia – per dovere di informazione – fino al 2021), ma allo stesso tempo un grande consenso di pubblico?47.


Perbenismo e censura aleggiano costantemente nel mondo della scuola, in maniera più o meno esplicita.
Afferma e s’interroga la docente Simonetta Politano48:
È raro ritrovare nei manuali di Storia dell’Arte destinati a studenti delle scuole superiori, finanche in quelli meno datati, opere quali, ad esempio, Piss Christ (“Cristo di piscio”) di Andres Serrano, forse per non incorrere (autori ed editori dei manuali e, di conseguenza, docenti che decidono di adottarli nelle loro classi) nell’accusa di blasfemia, o Love (“Amore”) di Maurizio Cattelan, per evitare quella di oscenità e volgarità, o Hammer and Sickle 1977 (“Falce e Martello 1977”) di Andy Warhol, per non essere considerati fin troppo esplicitamente schierati politicamente, o Liegender weiblicher Akt mit gespreizten Beinen (“Nudo femminile disteso a gambe divaricate”) di Egon Schiele (fig. 11), per non essere tacciati di immoralità, se non addirittura di perversione?
Tuttavia vi è chi, ben oltre la dimensione angusta dei perbenismi e delle censure, s’impegna per difendere la bellezza dell’Arte. Lo fa – valga come esempio in riferimento all’universo parallelo dei social – la pagina Facebook Io, la Poesia, la Pittura e Chet.49 con i suoi quasi 60.000 followers e i suoi oltre 47.000 “mi piace”(al gennaio 2025), aprendo la quale è possibile leggere una citazione proprio dello stesso Egon Schiele, menzionato sopra, che recita: «Nessuna opera d’arte erotica è una porcheria quand’è artisticamente rilevante. Diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco».


È una pagina, come si comprende dalle informazioni che la descrivono, che si occupa «di Amore, Arte, Musica e Poesia che, per norma, dovrebbero essere patrimonio di tutti e accessibili a tutti». In essa capita di imbattersi di frequente, si potrebbe osare dire “quasi di norma”, in versi poetici e in intere poesie poco o per nulla noti e in opere d’arte, sovente raffiguranti nudi femminili, anch’esse poco o per nulla note, che non farebbero di certo “cosa gradita” a chi è intriso di fede perbenistica, un po’ – per intenderci – a quel “tipo sociale” che viene descritto da Francesco Guccini nella canzone Il sociale e l’antisociale, a cui fa dire: «Non ho rapporti con i proletari / soltanto a tarda notte lungo i viali», ma che farebbero sicuramente “cosa gradita” a chi rifugge da quella fede perbenistica, un po’ – sempre per intenderci – a quel “tipo antisociale” della stessa canzone, che afferma: «Non m’importa dei giudizi della gente / odio in modo naturale ogni ipocrisia morale50». Quello stesso “tipo antisociale” che, qualora – per puro caso o volutamente poco importa – si ritrovasse a curiosare nel profilo Facebook di Francesco Danieli (nome d’arte “Mesciu Cicciu”) cui si è già fatto riferimento, apprezzerebbe senza dubbio alcuno Dynamis (“Energia creatrice”, “Potenza in movimento” – fig. 13), uno dei suoi tanti particolarissimi carboncini acquerellati al caffè, il quale, con le sue molte migliaia di visualizzazioni, ha scatenato, nella sezione riservata ai commenti, non poche imbarazzanti esternazioni inequivocabilmente alimentate dal germe del perbenismo.

Carboncino acquerellato al caffè su cartoncino da 200 grammi, 33×48 cm.
Collezione privata.
A Barcellona è stato inaugurato un museo grazie all’impegno del giornalista e imprenditore Josep Maria Benet Ferran, meglio noto come Tatxo Benet, il quale ha deciso di esporre la propria collezione di opere censurate che aveva iniziato a collezionare dal febbraio del 2018. Nasce così il Museu de l’Art Prohibit (“Museo dell’Arte Proibita”), che
ospita una collezione di oltre duecento opere d’arte che sono state rimosse, censurate o denunciate nel corso della storia, per ragioni politiche, sociali o religiose51.
Si tratta di una vasta collezione di dipinti, sculture, incisioni, fotografie, installazioni e lavori audiovisivi, per la maggior parte realizzati nel corso del XX e del XXI secolo.
[…] Non mancano pezzi iconici che hanno suscitato scalpore a livello planetario, come la scultura del 1965 di León Ferrari intitolata Western and Christian Civilization52, che mostra Cristo crocifisso su un aereo militare americano, criticando l’assurdità della violenza della guerra in Vietnam53.
L’attenzione di Tatxo Benet
fu attirata, in principio, dall’opera Presos Políticos en la España Contemporánea di Santiago Sierra, rimossa dalla fiera d’arte contemporanea54 di Madrid ARCO nel 2018. L’installazione presenta 24 ritratti fotografici in bianco e nero di prigionieri politici i cui volti sono stati oscurati, e attualmente si trova in prestito al Museo di Lleida. Da questo pezzo fondativo, Tatxo Benet ha ampliato con dedizione la sua raccolta, arrivando in tempi recenti all’apertura del museo55.
Ogni censura riscrive, condanna, ritratta, nasconde, copre, travisa, infanga, taglia, non tratta equamente, ostacola. L’elenco delle limitazioni da essa imposte e dei limiti da essa definiti potrebbe continuare ancora a lungo.
Resta il fatto che ogni censura inequivocabilmente fornisce una visione parziale, dunque impedisce la fruizione totale dell’Arte e dell’opera artistica nelle sue molteplici forme e manifestazioni. Per questo, sarebbe quantomeno doveroso chiedersi e qui congedarsi con un interrogativo: cui prodest? La strada è ancora in salita e tortuosa. Occorre estirpare la radice che genera la gramigna della censura: si chiama “perbenismo”. Serve affidarsi a una delle rivoluzioni più ardue d’ogni tempo e d’ogni luogo: quella culturale. Se è vero che oggi i tempi sono cambiati, la rivoluzione al momento è ancora agli albori. E’ d’uopo, perciò, non solo affidarsi ad essa, ma è necessario, finanche doveroso esserne protagonisti, ciascuno con i propri mezzi. Lo fa Io, la Pittura, la Poesia e Chet. attraverso una pagina social, lo fa Francesco Danieli, con i suoi carboncini acquerellati al caffè, lo fa Tatxo Benet, con il Museu de l’Art Prohibit (“Museo dell’Arte Proibita”), lo fa un numero indefinito di persone al mondo (e non necessariamente addette ai lavori) di cui sarebbe interessante aver numericamente contezza. E noi?
- Ricercatrice e saggista. Docente di Lettere Moderne. ↩︎
- La città vecchia è inizialmente pubblicata nel 1965 come singolo su 45 giri di cui occupa il lato A (il lato B è occupato dal brano musicale Delitto di paese). Nell’anno 1966, la canzone è inserita nell’album Tutto Fabrizio De André, come brano musicale d’apertura del lato B, etichetta Karim per l’edizione originale, Roman Record Company per la ristampa del 1968. ↩︎
- Si veda la definizione del termine “tria” contenuta nel dizionario online Treccani, al link www.treccani.it/vocabolario/troa/ ↩︎
- G. GARBARINO con la collaborazione di S. A. CECCHIN e L. FIOCCHI, Storia e Testi della letteratura latina, volume unico, Paravia Bruno Mondadori Editori, Torino 2006 (edizione originale 2001), p. 139. ↩︎
- G. MONACO – G. DE BERNARDIS – A. SORCI, La letteratura di Roma antica. Contesto, scrittori, testi. Storia e antologia della letteratura latina, Palumbo Editore, Palermo 1996 (edizione originale), p. 537. ↩︎
- 6 G.B. CONTE – E. PIANEZZOLA, Latinitatis Memoria. Storia e testi della letteratura latina, Casa Editrice Felice Le Monnier, Firenze 2001 (edizione originale 1997), p. 519. ↩︎
- GARBARINO, Storia e Testi della letteratura latina, cit., p. 136. ↩︎
- OVIDIO, L’arte d’amare, illustrato da Aristide Maillol, con un saggio di Scevola Mariotti, premessa al testo, traduzione e note di Ettore BARELLI, testo latino a fronte, Biblioteca Universale Rizzoli (BUR), Classici Greci e Latini, Milano 2008 (edizione originale 1977), libro II, v. 682, p. 224 (testo latino a fronte), vv. 1022-1023, p. 225 (testo in traduzione). ↩︎
- Ivi, libro II, vv. 689-692, p. 226 (testo latino a fronte), vv. 1032-1038, p. 227 (testo in traduzione). ↩︎
- Ivi, libro II, vv. 717-728, p. 228 (testo latino a fronte), vv. 1072-1091, p. 229 (testo in traduzione). ↩︎
- Donne credetemi fa parte dell’album Sexus et Politica del 1970 (è il terzo brano musicale del lato B), etichetta I Dischi dello Zodiaco. ↩︎
- I. BIONDI, Letteratura greca, vol. 1 (Dalle origini al V secolo), Casa editrice G. D’Anna, Messina Firenze 1999 (edizione originale 1996), p. 154. ↩︎
- E. DE LUCA, La Natura Esposta, Feltrinelli, Milano 2016. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://diacritica.it/recensioni/recensione-di-erri-de-luca- la-natura -esposta.html (recensione di Chiara Esposito). ↩︎
- DE LUCA, La Natura Esposta, cit., p. 86. ↩︎
- Ivi, pp. 35-36. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://www.uffizifirenze.it/daniele-ricciarelli-da- volterra.html ↩︎
- Si veda il contenuto di https://artslife.com/2016/01/30/dal-braghettone-alle- statue-coperte-quando-i-servi-sono-nemici-dellarte/ (articolo di Pierangelo Sapegno). ↩︎
- Si veda il contenuto di https://www.gioiadelcolle.info/la-chiesa-delle-anime-del-purgatorio/ (articolo di Francesco Giannini). ↩︎
- La parte del palazzo sulla cui facciata è ubicata l’edicola votiva è attualmente di
proprietà della sig.ra Beatrice Durante e figli. L’intervento di restauro dell’edicola è stato effettuato dal maestro restauratore Valerio Giorgino, su commissione sia della sig.ra Fiorentina Quarta, moglie del sig. Cosimo Durante, entrambi genitori della sig.ra Beatrice Durante, sia della sig.ra Lucia Mercuri, cugina del sig. Cosimo Durante. ↩︎ - In ordine, da sinistra verso destra: foto della lastra zincata, foto della pittura a tempera interposta, foto dell’affresco. Le foto della lastra zincata e dell’affresco sono di proprietà di Pantaleo Laterza, fotoamatore, la foto della pittura a tempera è di proprietà del maestro restauratore Valerio Giorgino. L’affresco, come è possibile evincere dalla foto, è stato commissionato dal sig. Salvatore Durante, di professione cavamonte (“MARIA MATER GRAZIE – Per divozione di Salvatore Durante”). Non ci è dato sapere da quale componente della famiglia Durante sia stata commissionata la pittura a tempera interposta, mentre la lastra zincata, come è possibile anche in questo caso evincere dalla foto, è stata commissionata dal sig. Cosimo Durante, nome completo Cosimo Generoso Gennarino Durante (“PER DIVOZIONE DI COSIMO DURANTE”), figlio del sig. Salvatore Durante, nonché padre del sig. Cosimo Durante e nonno paterno della sig.ra Beatrice Durante. ↩︎
- F. DANIELI, La freccia e la palma. San Sebastiano tra storia e pittura con 100 capolavori dell’arte, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2007, p. 47. ↩︎
- Ivi, p. 43. ↩︎
- Ivi, pp. 49-50. ↩︎
- Titolo in traduzione: Il Martirio di San Sebastiano. ↩︎
- DANIELI, La freccia e la palma, cit., p. 43. ↩︎
- Il progetto del Comune di Parabita nasce da un’idea del primo cittadino, Stefano Prete, affiancato dall’assessore alla Cultura Francesca Leopizzi e sostenuto dal poliedrico artista e concept designer Giovanni Lamorgese, anima dello studio di interior design Luogo d’Arte Lamorgese e direttore artistico dell’iniziativa, e dalle curatrici della medesima, Laura Perrone, che, insieme a Luca Coclite, è cofondatrice di Studioconcreto, uno studio artistico-curatoriale, dunque uno spazio progettuale per l’arte contemporanea presso la loro casa-studio ubicata a Lecce all’interno di un agglomerato di case popolari, e Flaminia Bonino, responsabile dell’ufficio organizzazione mostre e contenuti iconografici di Palazzo Esposizioni Roma.
Gli artisti e le loro installazioni nell’ambito di Votiva: Francesco Arena, DioCubo; Chiara Camoni, Annunciazione; Ludovica Carbotta, S/T (segnale non visivo); Claire Fontaine, Wishing Painting; Gianni Dessì, Dell’arte…l’oro; ektor garcìa, Figura de nudo; Helena Hladilová, Kaya; Felice Levini, Il piede del santo; Claudia Losi, Amuleti Animalia; K.R.M. Mooney, Deposition c. (vii); Liliana Moro, Polaris; Adrian Paci, Compito #20; Mimmo Paladino, Senza titolo; Michelangelo Pistoletto, Il canto della pace preventiva; Luigi Presicce, Miracolo senza titolo; Namsal Siedlecki, Viandante, ed anche Giovanni Lamorgese, L’Addolorata, considerata il punto 00, da cui parte l’intero percorso artistico per le vie della cittadina. ↩︎ - Si veda il n. 35 del settimanale, del 01/09/2024, pp. 52-53 (articolo di Luca Cereda). ↩︎
- Si veda il richiamo all’iniziativa del quotidiano, del 26/05/2024, p. 26. ↩︎
- La prima vuol essere un’icona che porta ancora visibili i segni di un atavico malessere, di un dolore incancellabile. Donna e madre prima ancora che simbolo di culto, in una rappresentazione per frammenti, questa moderna Madonna Addolorata racchiude in sé ogni lacerazione, rappresenta l’attimo esatto in cui il suo cuore è andato in frantumi, restituendoci un’istantanea piena di πάθος
(“pàthos”) e rassegnazione che ci racconta di abbracci spezzati e di una perdita incolmabile. Rappresentata nel candore del bianco virginale, la Madonna si fa improvvisamente materia e spirito, incarnazione di un simbolo ritrovato e più che mai attuale, uno specchio in cui riconoscere il presente e allo stesso tempo riconoscere noi stessi e la nostra finitezza. La seconda, invece, rispecchia la pratica dell’artista di collaborare con Ines Bassanetti, la nonna, che a partire dagli ottantanove anni diventa sua assistente realizzando una consistente raccolta di disegni a matita. Da questa pratica nasce la serie Capolavori, in cui Ines realizza copie di grandi opere della storia dell’Arte, tra cui l’Annunciazione di Giovanni da Fiesole, detto Beato Angelico, che diventa qui qualcosa di inedito. Attraverso una metamorfosi, prendono vita creature ibride, un cappuccetto rosso e un lupo, che riportano il linguaggio della sfera religiosa a quella delle tradizioni orali e del racconto che racchiude in sé stupore e turbamento, verità straordinarie e al contempo atroci. ↩︎ - Per ulteriori informazioni sulle opere citate, ma anche sulle altre dell’intero percorso e sulla loro ubicazione, si visitino la pagina Facebook Votiva, il profilo Instagram votiva_parabita e il banner nel sito istituzionale della Città di Parabita al link https://www.comune.parabita.le.it/it/page/126099 ↩︎
- D. BUZZATI, Un amore. Come un borghese può impazzire d’amore per una ragazza squillo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1969 (edizione originale 1963). ↩︎
- Idem, Un amore, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2013 (edizione originale 1963). ↩︎
- In N. COMAR, Dino Buzzati. Catalogo dell’opera pittorica, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2006, p. 154. ↩︎
- Ivi, p. 192. ↩︎
- L’espressione ricalca il titolo del film documentario, Gaetano Bresci, l’anarchico venuto dall’America, del 2019, scritto e diretto da Gabriele Cecconi. ↩︎
- In AA.VV., Fotografia del XX secolo, a cura di Museum Ludwing Colonia, Taschen Bibliotheca Universalis, Colonia 2015 (edizione originale 1997), pp. 472- 473. ↩︎
- Ivi, pag. 470. ↩︎
- Ivi, pag. 471. ↩︎
- Aa.Vv., Fotografia del XX secolo, cit., pp. 468 e 470-471. ↩︎
- Ivi, p. 415. ↩︎
- Ivi, pp. 186-187. ↩︎
- Ivi, p. 241. ↩︎
- Ivi, pp. 512-513. ↩︎
- Ivi, pp. 536-537. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2024/04/vera-omodeo scultura-donna-che-allatta-milano-polemica/ (articolo di Livia Montagnoli). ↩︎
- Il 5 aprile del 2021, l’allora Ministro della Cultura Dario Franceschini firmò un decreto che stabiliva l’abolizione definitiva della censura cinematografica. Fino a quel momento, infatti, il Ministero della Cultura aveva la facoltà di bloccare la proiezione nelle sale di film contrari al buon costume o alla morale. Il decreto di Franceschini istituì la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche presso la Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura, preposto al compito di verificare la corretta classificazione delle opere cinematografiche da parte degli operatori.
Si veda il contenuto di https://cultura.gov.it/comunicato/20346 e, in quest’ultimo, quello di www.cinecensura.com, la mostra permanente promossa dalla Direzione Generale Cinema del Ministero della Cultura realizzata dalla Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e dalla Cineteca Nazionale che raccoglie i materiali relativi a 300 lungometraggi e a 80 cinegiornali, ma anche 100 tra pubblicità e cortometraggi, 28 manifesti censurati e filmati di tagli. ↩︎ - Simonetta Politano, classe 1971, è attualmente docente di Storia dell’Arte, presso l’I.I.S.S. “Presta – Columella” di Lecce. Impegnata attivamente e poliedricamente nella disciplina nonché cultrice ed educatrice dell’arte e all’arte della bellezza, è stata dottore di ricerca in “Storia dell’arte comparata dei Paesi del Mediterraneo dal Medioevo all’Età Moderna” presso l’Università del Salento e l’Università degli studi di Bari. Ha maturato esperienze professionali presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Ha collaborato ad attività di ricerca presso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università del Salento e il Centro Studi sul Barocco di Lecce, occupandosi della storia del territorio dal Barocco al Novecento. Ha svolto studi sull’architettura e l’urbanistica tra Ottocento e Novecento in Terra d’Otranto. Tra le sue pubblicazioni, che spaziano dall’Arte Moderna all’Arte Contemporanea, si segnalano: Architettura e città a Lecce fra Ottocento e Novecento. Edilizia privata e nuovi borghi (Congedo Editore, Galatina 1997, con Vincenzo Cazzato) e Topografia di Puglia. Atlante dei “monumenti” trigonometrici. Chiese, castelli, torri, fari e architetture rurali (Congedo Editore, Galatina 2001, con Vincenzo Cazzato). ↩︎
- Cfr. la pagina fb https://www.facebook.com/IoLaPoesiaLaPitturaEChet. ↩︎
- Il sociale e l’antisociale fa parte dell’album Folk beat n.1 del 1967 (è l’ultimo brano musicale del lato B), etichetta La voce del padrone. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2023/10/arte-proibita-barcellona-museo/ (articolo di Gloria Vergani). ↩︎
- Titolo in traduzione: Civiltà Occidentale e Cristiana. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://arte.sky.it/news/museo-arte-proibita-barcellona (articolo di Redazione). ↩︎
- Titolo in traduzione: Prigionieri Politici nella Spagna Contemporanea. ↩︎
- Si veda il contenuto di https://arte.sky.it/news/museo-arte-proibita-barcellona (articolo di Redazione). ↩︎